Incipit, chi ben comincia è a metà del libro!
RUBRICA di consigli di lettura del lunedì
17 FEBBRAIO
di Davide Morosinotto, illustrazioni di Andrea Guerrieri, Il Fiore perduto dello Sciamano di K, Mondadori, 2019, pp. 448.
“Sto per morire. E questa è la verità.
E tu lo sai meglio di chiunque altro.
Ho solo quanti dodici anni… è stato difficile per me da accettare. Ci è voluto tanto coraggio. Adesso però la mia come si dice quando sei in crisi preoccupazione è un’altra e cioè di non farcela ad arrivare fino in fondo.
Perché (tu sai anche questo) è una storia lunga e complicata questa e si intreccia come quei cosi cestini di chambira che la vecchia tessitrice al mercato provò a insegnarci mentre ci riempiva la testa di quelle che si cantano canzoni e leggende della giungla e io piangevo per il mio povero Walkman che non funzionava più.
Insomma, spero di riuscirci a fare, ad arrivare fino in fondo, fino proprio alla fine.
Se potessi lascerei a te il tipo quando hai un impegno… compito, anzi sarebbe bello così faremmo prima. Però mi Sto arrivando! che tu non le senti ancora. Le voci, dico. Non le senti. Io invece sì. E quindi tocca a me fare come si dice?
E ci provo.
E tu però non mi lasciare. Stammi vicino.
Lo prometti?
Io e te come sempre.
Insieme fino alla fine.”
Non conoscevo Davide Morosinotto. Da quando sono diventata una libraia (più o meno cinque mesi fa) le mie compagne di libri ed altre avventure mi hanno, con pazienza, istruita ed iniziata ai piaceri della letteratura per ragazzi, perché sì i classici, già gli albi illustrati, ma delle nuove meraviglie pensate e scritte per i giovani attraverso la forma romanzo ne sapevo poco. E allora giù, per mesi, a smangiucchiare pagine e pagine per comprendere, rimettermi in pista. Pagine amare, ostiche, banali quanto sapide, aspre, semplici, dolci, ricamate, felici. Pagine di libri abbandonati sul comodino, sullo scaffale, dietro le spalle; pagine di libri conclusi, bevuti, sempre in borsa pronti per essere mostrati ad altri occhi curiosi. Eppure il tempo è trascorso senza trovare quelle pagine in cui cadere dentro, precipitare, perdersi, confondere la realtà vissuta con quella raccontata. Quelle pagine che non si trovano facilmente, e che probabilmente non sono negli stessi libri per tutti. Sino a quando sono inciampata ne Il fiore perduto dello Sciamano di K.
Capitolo finale di una ideale trilogia di romanzi di formazione ambientati in tre differenti momenti del Novecento che narrano di avventure attorno a grandi fiumi (i cui primi due atti sono Il rinomato catalogo Walker & Dawn del 2016 e La sfolgorante luce di due stelle rosse del 2017), l’ultima fatica del prolifico scrittore ci porta nel Perù del 1986.
Laila è una giovane ragazza finlandese, figlia di diplomatici, che viene ricoverata all’Ospedale del Santo Toribio in seguito ad alcuni disturbi della vista che si riveleranno essere i primi sintomi di una incurabile malattia neurodegenerativa. El Rato è un ragazzo peruviano, che al Santo Toribio è stato abbandonato neonato e lì ha trascorso tutta la vita, senza mai mettere il naso fuori dal nosocomio, adottato informalmente da un’infermiera ed un medico. E’ dunque in un reparto di pediatria che nasce l’amicizia fra Laila ed El Rato e inizia la storia. I due per gioco rubano un libro manoscritto dalla biblioteca dell’ospedale, il diario di un certo dottor Clarke, ossessionato da un fiore a suo dire miracoloso, nascosto nel cuore dell’Amazzonia, capace di guarire qualsiasi malattia. Quando, accidentalmente, Laila scopre che il suo male è incurabile decide di tentare il tutto per tutto, scappare dalla famiglia e dall’ospedale ed andare alla ricerca del fiore dello sciamano di K.: El Rato si offre di accompagnarla, ma presto capiamo che anche per lui la fuga è una scelta, una necessità per rincorrere il suo Grande Sogno. Armati solo di ingenuità e coraggio, una mazzetta di dollari che Laila ha risparmiato nel tempo, un walkman recorder e del diario del dottor Clarke i due partono nella notte buia. Un vortice di avventure e pericoli sullo sfondo di un drammatico momento per la storia peruviana, contrastati da forze avverse, dalle sembianze umane e non, da Lima verso Cusco, e poi verso Aguas Calientes, e da lì ad Iquitos, sul Rio delle Amazzoni, per finire nel cuore della Foresta Amazzonica. Sulla loro strada incontrano, però, una moltitudine di aiutanti dalle disparate sembianze: Chaska, Viktor, Nonna Auka, i fratelli Ramirez, Gio e Fabio, la signora Blanca e Miguel Castillo; aiutanti che permettono ai due ragazzi di trovare il fiore, effettivamente difeso da uno sciamano. E nella foresta pluviale, sotto un grande albero, dove vita e morte s’incontrano in una dimensione altra sapientemente custodita da chi ancora sa mettersi in ascolto della natura, Laila ed El Rato vivono la loro trasformazione.
Il libro è diviso in tre parti o spiriti, che ci guidano, come in una iniziazione, alla verità. Brevi capitoli narrati in prima persona da personaggi che si alternano, per restituire un tutto prismatico che rifrange i diversi punti di vista di una storia corale. C’è poi una storia di segni e colori nel testo, frutto di un raffinato lavoro di grafica, che significa in forma quel che è detto e non detto. Morosinotto fa una magia, la magia dello scrittore stregone: attraverso un realismo inappuntabile, tale da catapultarci fra le rapide di un fiume, negli occhi chiusi di un bacio adolescente, su un piccolo aereo azzurrino carico di armi e droga, ci sposta in un mondo parallelo, dove gli spiriti dischiudono il senso delle cose come fiori notturni che si aprono.
Una storia composita e stratificata, pensata per trascinare con sé giovani e vecchi, dove i criteri del genere d’avventura e del romanzo di formazione si confondono; dove ogni dettaglio è funzionale ad una organicità generale, le relazioni e le emozioni ne sono la linfa e l’infinitamente piccolo si specchia nell’immensamente grande. Tutto torna e ritorna. Ed il lettore è rapito: sogna di aver già letto ciò che legge.
Cosa rappresenta il fiore perduto? Di cosa vanno alla disperata ricerca Laila ed El Rato?
Probabilmente il fiore dello sciamano di K. non esiste davvero, ma il desiderio che tiene ognuno di noi attaccato alla vita esiste eccome e le storie, quelle belle, lo proiettano verso un altrimenti inaccessibile infinito.
Nelle note e nei ringraziamenti conclusivi è spiegato l’immane lavoro che si cela dietro questa opera. Forse Morosinotto ha davvero bevuto il succo di un fiore portentoso in un qualche villaggio sperduto dell’Amazzonia ed ha scritto questa storia per farci dono di una vista rinnovata. Che cosa vedere, poi, è affare del lettore.
Età di lettura consigliata: dai 12 anni all’eternità.
Maria