INCIPIT rubrica di consigli di lettura del lunedì: Perché dovresti leggere libri per ragazzi

INCIPIT rubrica di consigli di lettura del lunedì: Perché dovresti leggere libri per ragazzi

Incipit, chi ben comincia è a metà del libro!
RUBRICA di consigli di lettura del lunedì
24 FEBBRAIO
di Katherine Rundell, trad. di Stefania Di Mella, Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio, Rizzoli, Collana Ragazzi, pp. 64, in uscita il 25/02/2020.
 
“Il luogo che amavo di più da bambina era la biblioteca pubblica di Mount Pleasant, ad Harare, nello Zimbabwe. La sezione dei libri per ragazzi era rimasta immutata dagli anni Cinquanta e odorava del tetto che perdeva e del sole feroce che inondava la sala attraverso le portefinestre, ostacolato soltanto dalla polvere”.
 
Dalle prime righe di questo saggio si evince la poetica di questa giovane, ma già pluripremiata scrittrice. Katherine Rundell ha vissuto fino ai dieci anni in Zimbabwe, dove il padre lavorava come diplomatico e all’età di quattordici anni si trasferisce con la famiglia a Bruxelles. In Zimbabwe la scuola finiva ogni giorno alle 13 e non c’era nessun riferimento alla cultura teenageriale esistente in Europa. Io e i miei amici ci arrampicavamo sugli alberi e facevamo gare di nuoto.» Capriole sotto il temporale, suo romanzo d’esordio nel 2011, ripercorre gli anni liberi e spensierati nella terra africana.
“Scrivo narrativa per ragazzi da oltre dieci anni ormai, e faccio ancora fatica a darne una definizione. Ma so con certezza, una certezza maggiore di quella che ho su quasi tutto il resto, ciò che non è: non è solo per ragazzi”. Così, l’autrice introduce e sviluppa con determinazione un’appassionata difesa della letteratura per ragazzi, contro i pregiudizi e gli snobismi di chi pensa che leggerla dopo una certa età sia bandito. Leggere libri per ragazzi da adulti non è regredire, non è tornare indietro, ci spiega Rundell, al contrario se li abbandoniamo del tutto «lo facciamo a nostro rischio e pericolo, perché rinunciamo a uno scrigno di meraviglie che, guardate con occhi adulti, possiedono una magia completamente nuova». Riacquisire quell’avidità, quella concentrazione totale, quella capacità di immergersi con il corpo e la mente nella storia che avevamo da piccoli, ma con gli occhi di adulti di oggi, ci permette di tornare a leggere con il cuore aperto, di nutrire la nostra immaginazione, quella phantasia che Aristotele nel 350 a.C. difendeva, “sostenendo che per condurre una vita davvero felice si dovesse saper maneggiare le storie: immaginare che cosa potesse o dovesse succedere, e anche che cosa non avesse alcuna possibilità di accadere”. Ma c’è di più. I libri per ragazzi sono strumenti sovversivi, sono “oggetti pericolosi sotto mentite spoglie: spade nascoste dentro ombrelli”, dal momento che si rivolgono ad una parte della società priva di potere economico e politico, fuori ancora dal mondo del lavoro e dal capitale, dunque sono armi per menti ribelli, sono vasi colmi di speranza, coraggio, empatia, amore.
In conclusione del saggio, la Rundell aggiunge una nota dedicata all’edizione italiana, raccontando di come si sia divertita a leggere tutti quei libri per ragazzi italiani tradotti in inglese: Pinocchio, Cipollino e le Favole al telefono di Rodari, Fiabe italiane di Calvino, Munari, Lionni, Salgari e Bianca Pitzorno, un universo così fantastico, vario e profondo tutto da esplorare.
Età di lettura: un libro necessario per chi ancora non crede nella forza della letteratura per ragazzi, un libro utile per tutti coloro che invece hanno felicemente “sconfinato” e vogliono traghettare nuovi “vecchi e saggi” lettori!
(Mariella)
INCIPIT rubrica di consigli di lettura del lunedì: IL FIORE PERDUTO DELLO SCIAMANO

INCIPIT rubrica di consigli di lettura del lunedì: IL FIORE PERDUTO DELLO SCIAMANO

Incipit, chi ben comincia è a metà del libro!
RUBRICA di consigli di lettura del lunedì
17 FEBBRAIO
di Davide Morosinotto, illustrazioni di Andrea Guerrieri, Il Fiore perduto dello Sciamano di K, Mondadori, 2019, pp. 448.

“Sto per morire. E questa è la verità.
E tu lo sai meglio di chiunque altro.
Ho solo quanti dodici anni… è stato difficile per me da accettare. Ci è voluto tanto coraggio. Adesso però la mia come si dice quando sei in crisi preoccupazione è un’altra e cioè di non farcela ad arrivare fino in fondo.
Perché (tu sai anche questo) è una storia lunga e complicata questa e si intreccia come quei cosi cestini di chambira che la vecchia tessitrice al mercato provò a insegnarci mentre ci riempiva la testa di quelle che si cantano canzoni e leggende della giungla e io piangevo per il mio povero Walkman che non funzionava più.
Insomma, spero di riuscirci a fare, ad arrivare fino in fondo, fino proprio alla fine.
Se potessi lascerei a te il tipo quando hai un impegno… compito, anzi sarebbe bello così faremmo prima. Però mi Sto arrivando! che tu non le senti ancora. Le voci, dico. Non le senti. Io invece sì. E quindi tocca a me fare come si dice?
E ci provo.
E tu però non mi lasciare. Stammi vicino.
Lo prometti?
Io e te come sempre.
Insieme fino alla fine.”

Non conoscevo Davide Morosinotto. Da quando sono diventata una libraia (più o meno cinque mesi fa) le mie compagne di libri ed altre avventure mi hanno, con pazienza, istruita ed iniziata ai piaceri della letteratura per ragazzi, perché sì i classici, già gli albi illustrati, ma delle nuove meraviglie pensate e scritte per i giovani attraverso la forma romanzo ne sapevo poco. E allora giù, per mesi, a smangiucchiare pagine e pagine per comprendere, rimettermi in pista. Pagine amare, ostiche, banali quanto sapide, aspre, semplici, dolci, ricamate, felici. Pagine di libri abbandonati sul comodino, sullo scaffale, dietro le spalle; pagine di libri conclusi, bevuti, sempre in borsa pronti per essere mostrati ad altri occhi curiosi. Eppure il tempo è trascorso senza trovare quelle pagine in cui cadere dentro, precipitare, perdersi, confondere la realtà vissuta con quella raccontata. Quelle pagine che non si trovano facilmente, e che probabilmente non sono negli stessi libri per tutti. Sino a quando sono inciampata ne Il fiore perduto dello Sciamano di K.
Capitolo finale di una ideale trilogia di romanzi di formazione ambientati in tre differenti momenti del Novecento che narrano di avventure attorno a grandi fiumi (i cui primi due atti sono Il rinomato catalogo Walker & Dawn del 2016 e La sfolgorante luce di due stelle rosse del 2017), l’ultima fatica del prolifico scrittore ci porta nel Perù del 1986.
Laila è una giovane ragazza finlandese, figlia di diplomatici, che viene ricoverata all’Ospedale del Santo Toribio in seguito ad alcuni disturbi della vista che si riveleranno essere i primi sintomi di una incurabile malattia neurodegenerativa. El Rato è un ragazzo peruviano, che al Santo Toribio è stato abbandonato neonato e lì ha trascorso tutta la vita, senza mai mettere il naso fuori dal nosocomio, adottato informalmente da un’infermiera ed un medico. E’ dunque in un reparto di pediatria che nasce l’amicizia fra Laila ed El Rato e inizia la storia. I due per gioco rubano un libro manoscritto dalla biblioteca dell’ospedale, il diario di un certo dottor Clarke, ossessionato da un fiore a suo dire miracoloso, nascosto nel cuore dell’Amazzonia, capace di guarire qualsiasi malattia. Quando, accidentalmente, Laila scopre che il suo male è incurabile decide di tentare il tutto per tutto, scappare dalla famiglia e dall’ospedale ed andare alla ricerca del fiore dello sciamano di K.: El Rato si offre di accompagnarla, ma presto capiamo che anche per lui la fuga è una scelta, una necessità per rincorrere il suo Grande Sogno. Armati solo di ingenuità e coraggio, una mazzetta di dollari che Laila ha risparmiato nel tempo, un walkman recorder e del diario del dottor Clarke i due partono nella notte buia. Un vortice di avventure e pericoli sullo sfondo di un drammatico momento per la storia peruviana, contrastati da forze avverse, dalle sembianze umane e non, da Lima verso Cusco, e poi verso Aguas Calientes, e da lì ad Iquitos, sul Rio delle Amazzoni, per finire nel cuore della Foresta Amazzonica. Sulla loro strada incontrano, però, una moltitudine di aiutanti dalle disparate sembianze: Chaska, Viktor, Nonna Auka, i fratelli Ramirez, Gio e Fabio, la signora Blanca e Miguel Castillo; aiutanti che permettono ai due ragazzi di trovare il fiore, effettivamente difeso da uno sciamano. E nella foresta pluviale, sotto un grande albero, dove vita e morte s’incontrano in una dimensione altra sapientemente custodita da chi ancora sa mettersi in ascolto della natura, Laila ed El Rato vivono la loro trasformazione.
Il libro è diviso in tre parti o spiriti, che ci guidano, come in una iniziazione, alla verità. Brevi capitoli narrati in prima persona da personaggi che si alternano, per restituire un tutto prismatico che rifrange i diversi punti di vista di una storia corale. C’è poi una storia di segni e colori nel testo, frutto di un raffinato lavoro di grafica, che significa in forma quel che è detto e non detto. Morosinotto fa una magia, la magia dello scrittore stregone: attraverso un realismo inappuntabile, tale da catapultarci fra le rapide di un fiume, negli occhi chiusi di un bacio adolescente, su un piccolo aereo azzurrino carico di armi e droga, ci sposta in un mondo parallelo, dove gli spiriti dischiudono il senso delle cose come fiori notturni che si aprono.
Una storia composita e stratificata, pensata per trascinare con sé giovani e vecchi, dove i criteri del genere d’avventura e del romanzo di formazione si confondono; dove ogni dettaglio è funzionale ad una organicità generale, le relazioni e le emozioni ne sono la linfa e l’infinitamente piccolo si specchia nell’immensamente grande. Tutto torna e ritorna. Ed il lettore è rapito: sogna di aver già letto ciò che legge.
Cosa rappresenta il fiore perduto? Di cosa vanno alla disperata ricerca Laila ed El Rato?
Probabilmente il fiore dello sciamano di K. non esiste davvero, ma il desiderio che tiene ognuno di noi attaccato alla vita esiste eccome e le storie, quelle belle, lo proiettano verso un altrimenti inaccessibile infinito.
Nelle note e nei ringraziamenti conclusivi è spiegato l’immane lavoro che si cela dietro questa opera. Forse Morosinotto ha davvero bevuto il succo di un fiore portentoso in un qualche villaggio sperduto dell’Amazzonia ed ha scritto questa storia per farci dono di una vista rinnovata. Che cosa vedere, poi, è affare del lettore.
Età di lettura consigliata: dai 12 anni all’eternità.

Maria

INCIPIT RUBRICA DI CONSIGLI DI LETTURA: E’ AMORE

INCIPIT RUBRICA DI CONSIGLI DI LETTURA: E’ AMORE

INCIPIT, chi ben comincia è alla metà del libro.
Rubrica di consigli di lettura del lunedì
10 febbraioClaudia Prezioso, E’ amore, Bohem Press Italia, Trieste, 2020

“Ci guardavamo … e nel pomeriggio mi sono spuntate le ali”

Tra le tante novità arrivate in libreria negli ultimi giorni, questo piccolo libro quadrato (16×16 cm) mi era quasi sfuggito.
Edito da Bohem press Italia, storica casa editrice di Trieste (che non posso taggare perché non è presente sui social), in poche pagine immerse in una vera esplosione di colori, ci fa sognare alla scoperta dell’amore e dei suoi effetti, con delicatezza ed un tocco di frizzante poesia.
I protagonisti sono due piccoli personaggi, due “omini” direi, un po’ indefiniti in realtà, ma con tratti umani. Sono entrambi vestiti con tutina e cappuccio blu, ma uno ha le gambe e le braccia verdi, l’altro rosse.
Li identifichiamo (per comodità) con un “lui” e con una “lei”.
All’incrociarsi degli sguardi, quasi casuale ma ben sottolineato da una grossa pennellata di colore giallo, a “lui” spuntano due grosse ali.
Dopo aver salutato un gufo ed ascoltato il suono del vento, prende il volo.
Si veste di nuvole, parla con la luna, starnutisce mille stelle e salta su quindici pianeti. Belle ed icastiche immagini per rappresentare quella sensazione di euforia, di leggerezza, di “farfalle nello stomaco” che gli innamorati di ogni tempo hanno provato con sfumature diverse nelle diverse stagioni della vita.
Poi ridiscende a terra, atterrando proprio sui piedi di “lei”.
E qui, alla fine, le parole iniziali tornano, con una precisa struttura ad anello.
“Ci guardavamo, mi sono cresciute le ali … e siamo volati via”.
Ma questa volta è “lei”, con le braccia e le gambe rosse, a dirlo. In perfetta simmetricità, in perfetta sintonia.
Ed il volo questa volta è “INSIEME”, parola chiave universale di ogni AMORE.

Sull’amore e dell’amore si sono davvero detti, scritti, messi in musica e cantati fiumi e fiumi di parole.
Aggiungiamo questo libricino come un bicchiere d’acqua fresca, da bere in un sorso.

Un piccolo dono per tutte le età, a partire dai tre-quattro anni.

(Francesca)

INCIPIT: LA BAMBINA DI VETRO

INCIPIT: LA BAMBINA DI VETRO

INCIPIA, chi ben comincia è a metà del libro!
RUBRICA di consigli di lettura del lunedì
3 FEBBRAIO 2020
Beatrice Alemagna, La bambina di vetro, #Topipittori, 2020, pp.32.

“Un giorno, in un villaggio vicino a Bilbao e a Firenze, nacque un bambino di vetro. Anzi, una bambina.”

Pubblicata in Francia nel 2002 con il titolo Gisèle de verre, La bambina di vetro di Beatrice Alemagna approda finalmente in Italia, grazie alla casa editrice #Topipittori, nell’anno dei festeggiamenti per il centenario della nascita del maestro Gianni Rodari. L’autrice stessa dichiara di essersi ispirata al Giacomo di cristallo, che tanto aveva amato da piccola e aggiunge “La bambina di vetro ero io, quando soffrivo disperatamente di non poter dire tutto quello che pensavo. La bambina di vetro contiene tutta la mia infanzia. Quella a bocca aperta, piena di libertà e di poesia” (dal blog di Topipittori https://www.topipittori.it/it/topipittori/la-bambina-di-vetro-contiene-tutta-la-mia-infanzia).
A differenza del suo fratello italiano, Gisèle non viene messa in prigione, forse sì, aggiungerei io, ma non “fisicamente” , mi spiego meglio. Gisèle nasce pura e luminosa e continua a crescere così trasparente che chiunque può leggere i suoi pensieri, belli o brutti che siano, ed il suo corpo è così fragile da incrinarsi, quando prova momenti di tristezza o di rabbia. La gente che prima si affollava per vederla, ora inorridisce davanti ai suoi pensieri “veri”, fatti anche di corvi neri, rifiuta il suo essere, la giudica e tormenta, la esclude e costringe a fuggire, in cerca di un luogo da poter chiamare casa. Non si tratta di una fuga dal Male, bensì di un gesto di ribellione e di fatto una prova di coraggio che l’eroina, come da tradizione fiabesca, compie per ritrovare la fiducia in se stessa e tornare a casa più forte di prima, completamente libera! Ancora una volta Beatrice Alemagna, ci fa dono di un personaggio delicatissimo, della stessa pasta “malfatta” che appare agli occhi di quei perfetti: incompleto eppure integro nel trovare la forza di credere in se stesso, trasparente eppure così profondo da aver compreso a pieno la realtà, molto più complessa di quanto appaia, fragile eppure così coraggioso e determinato alla ricerca di un posto nel mondo capace di accogliere l’altro senza paura.
Come ha scritto Anna Castagnoli nel suo saggio di introduzione al lavoro di Beatrice Alemagna, che nel 2010 fu ospite d’onore della Mostra internazionale di Illustrazione di Sàrmede: “ Vi invito a non avere paura: non sono emozioni drammatiche quelle che vibrano nei libri di Beatrice Alemagna: c’è la solitudine, è vero, c’è l’amarezza dell’essere diversi, la fatica di essere distratti e perdere pezzi di sé…ma tutta questa fatica di esistere è quella dell’infanzia: per essere consolati, c’è solo bisogno di un sorriso amico e un gelato al pistacchio” (tratto da Il mondo delle cose fragili, saggio su Beatrice Alemagna, Le immagini della fantasia, Sarmède 2010).

Vogliamo già un gran bene alla bambina di vetro 

Età di lettura dai cinque anni
(Mariella)

INCIPIT rubrica di consigli di lettura del lunedì: LA DANZA DELLE RANE

INCIPIT rubrica di consigli di lettura del lunedì: LA DANZA DELLE RANE

Incipit, chi ben comincia è a metà del libro!
RUBRICA di consigli di lettura del lunedì
27 GENNAIO
di Guido Quarzo ed Anna Vivarelli, illustrazioni di Silvia Mauri, LA DANZA DELLE RANE, Editoriale Scienza, 2019, pp. 128.

“I due uomini avevano posato la cassa nel locale delle scuderie che l’abate usava per i suoi esperimenti, e ora se ne stavano lì, perplessi, aspettando che Spallanzani scendesse dallo studio.”

“La danza delle rane” è un delicato romanzo di formazione ambientato a Scandiano, per intenderci il paese di Romano Prodi nella provincia di Reggio Emilia, ai tempi dell’Illuminismo. E non è una boutade.
Con questo libro gli abili autori – che non hanno bisogno di presentazioni per chi segue le evoluzioni della letteratura italiana per ragazzi – Anna Vivarelli e Giudo Quarzo raccontano la fine del ‘700, un contesto storico di grandi rivoluzioni culturali e scientifiche per l’Italia, attraverso la figura di Lazzaro Spallanzani – grande uomo di scienze, di lettere e abate gesuita. L’abate fu illuminista noto in tutta Europa e padre della biologia sperimentale, conosciuto soprattutto per gli studi sulla fecondazione, che confutarono le retrograde teorie sulla generazione spontanea. Sullo sfondo la quotidianità di un piccolo paese, scandita dal tempo del lavoro e da quello della preghiera, e costretta fra mondo di sopra e mondo di sotto. Ci vuole un bambino, quasi ragazzo, Antonio, per rompere le consuetudini, e mettere in comunicazione i mondi in un’unica danza: quello della chiesa con quello della scienza, quello contadino con quello aristocratico, quello dell’ignoranza con quello della ricerca, quello degli adulti con quello dei piccoli.

“Immagina che la vita sia una specie di danza, uno di quei balli in cui è necessario formare delle coppie: dove si formano le coppie la danza prosegue, se non si formano le coppie si ferma il ballo. Ora si tratta di vedere in quale di queste vasche si apriranno le danze: il ballo della vita”.

Antonio è il curioso figlio di una donna operosa e devota e del mugnaio di Scandiano, pronto a seguire il suo destino per lavorare, come già il fratello maggiore, Giacomo, nel mulino di famiglia. Un giorno, perso fra i ruscelli, s’imbatte in uno strano personaggio che va a caccia di rane, e che solo in seguito scoprirà essere Lazzaro Spallanzani, il rettore dell’Università di Pavia, un burbero scienziato gesuita, noto a tutto il paese, ed inviso al curato Don Liborio per le sue idee eretiche. Per farla breve, Antonio comincia a fare da assistente all’abate e precipita in una serie di piccole grandi avventure, osservando da una posizione privilegiata i movimenti dialettici, di crisi e di sintesi, della Storia, vivendoli attraverso i rivolgimenti della sua piccola esistenza. Ricatti, furti, minacce, invidie, ma anche amore, amicizia, rispetto, cambiamento: in una giostra che vede girare preti di campagna, giardinieri, servi, marchesi, cuoche, governanti, padri, madri e filosofi, Antonio si trasforma, e mentre nel laboratorio di Spallanzani le uova inseminate diventano girini, mentre le altre marciscono, cambia pelle lui stesso e si prepara al salto nel buio che è diventare grandi.
Uscito con la casa Editrice Editoriale Scienza, nella collana RACCONTI DI SCIENZA che usa la narrazione per raccontare storie di scienziati e scoperte, “La danza delle rane” è un piccolo, avvincente gioiello costruito per mezzo di una scrittura puntuale, fatta di descrizioni accurate, che mai cedono all’orpello, capace di catturare sulla pagina solo quel che va scritto, per una lettura piana e di gusto; e costruito altrettanto da le belle illustrazioni di Silvia Mauri che, pur mantenendo il minimalismo del tratto, strizzano l’occhio ai disegni naturalistici contenuti nei tomi e nei manuali scientifici di un tempo lontano, a prima della fotografia.
Una storia per tutti, dove non si sa se la vita di Antonio e di Scandiano siano il pretesto per raccontare un pezzetto di Illuminismo, o viceversa, oggi che ancora, in era digitale, andiamo cercando lumi, per resistere al buio che fanno gli agitatori di mostri.

Età di lettura dagli 8 anni.

Maria

INCIPIT 2 dicembre HUGO

INCIPIT 2 dicembre HUGO

INCIPIT, chi ben comincia è alla metà del libro
Rubrica di consigli di lettura del lunedì
2 dicembre
Mia Nilsson, Hugo. Cattivo, sanguinario e … pericolosissimo, Roma, Il Barbagianni Editore, 2019, pp. 44
In libreria dal 21 novembre

“Da qualche parte al Nord, in una casa piccola piccola, in un bosco grande grande, vive Hugo. Hugo è la creatura più cattiva, più sanguinaria che si sia mai vista nel bosco. O almeno così dicono tutti …”
Sarà perché amo l’ora del tè con pasticcini, soprattutto se ad organizzare la merenda sono gli animali dei libri, o sarà perché i coccodrilli mi sono simpatici?
Non saprei, ma la storia di “Hugo”, il nuovo albo illustrato proposto da Il Barbagianni Editore, casa editrice indipendente romana nata nel 2012 (nota soprattutto per la pubblicazione de “L’inventafavole”, il primo gioco di carte del genere) mi è piaciuta molto.
Hugo è un coccodrillo di un bel verde intenso, taglia XL.
Si è esibito come funambolo in un circo, fino al giorno in cui un dromedario, invidioso del suo successo, lo ha scaraventato fuori dal carrozzone dove dormivano. Dopo un lungo viaggio, il coccodrillo si ritrova a vivere in un bosco dell’estremo Nord, in una piccola e linda casetta, con accoglienti poltrone a fiori, servizi di porcellana a cuoricini e sedia a dondolo in veranda.
Il problema di Hugo però non è l’habitat ma il fatto che tutti gli abitanti del bosco (coniglio-riccio-cervo-volpe-scoiattolo-famiglia di cinghiali ecc ecc) alla sua sola vista fuggano terrorizzati, credendo che sia la creatura più mostruosa e feroce del mondo. Reazione in realtà alquanto normale se ci si trova di fronte ad un coccodrillo, senza averlo mai visto prima e a maggior ragione se munito di una bella fila di affilatissimi denti. Dopo vari tentativi di “avvicinamento”, Hugo pensa di preparare una merenda per tutti a casa sua, ed appende “più o meno 27 volantini” agli alberi del bosco per invitare gli altri animali. Merenda che, ovviamente, va deserta. Ormai disperato, Hugo prepara la valigia, pronto a partire per l’Australia. Mentre cammina lungo la strada, sotto un cielo a strisce psichedeliche, riesce miracolosamente a mettere in salvo i figli della signora cinghiale, che avventatamente stanno attraversando la strada senza guardare. A quel punto mamma cinghiale si rende finalmente conto che non ha nulla da temere e propone ad Hugo di … andare a prendere un caffè a casa sua! In un lampo Hugo corre a casa a preparare e poco dopo arrivano non solo la famiglia dei cinghiali ma anche il coniglio, il riccio, il cervo, la volpe e lo scoiattolo. Quando finalmente sono tutti intorno alla tavola imbandita, Hugo esce dalla cucina brandendo coltello e forchetta e sfoderando uno dei suoi migliori “sorrisi”. Gli animali stanno per fuggire di nuovo terrorizzati ma … il lieto fine è assicurato, con grande scorpacciata di torta, biscotti, pasticcini e meringhe e progetti per pomeriggi da passare insieme.
La tematica dell’accettazione del “diverso” e della necessità di vedere “oltre” viene spesso proposta ultimamente anche negli albi illustrati ed è difficile trattare l’argomento in modo non retorico. Ci è riuscita bene Mia Nillson, giovane illustratrice ed autrice svedese, alla sua prima prova con un libro interamente eseguito da lei. La “diversità” del protagonista di questa storia è doppia: Hugo non solo è un coccodrillo che vive in un bosco di abeti invece di nuotare in un fiume africano ma è anche un amante della cucina, della lettura e della maglia, l’esatto contrario del feroce animale che conosciamo. L’accostamento di queste caratteristiche così diverse ed improbabili, genera sicuramente nel lettore una certa simpatia per il protagonista e rende lo scorrere della storia brillante e leggero. Belle e particolari le illustrazioni, nelle quali domina il verde del grosso corpo di Hugo in contrasto con gradazioni di ocra e ruggine.

(Francesca)

Dai 4 anni