Non sono tanti i libri della mia infanzia sopravvissuti al trascorrere del tempo; conservati nella cantina che sorge nel mezzo del giardino dei miei genitori, la maggior parte di essi è stata rosicchiata da topolini di campagna. Uno è stato regalato alla persona sbagliata, qualcun altro si è perso fra un trasloco e l’altro. Nel marzo del 2020, però, è accaduto un piccolo miracolo: nel limbo fra casa vecchia e casa nuova, con la mia famiglia ci trovavamo ospiti dai miei genitori e la maggior parte delle nostre cose, libri compresi, si trovava inscatolata e stipata proprio nella loro cantina.

Ma il periodo era quello che era, lockdown, tutti a casa, zona rossa, giornate infinite. Servivano storie in cui tuffarsi, servivano i miei libri, servivano i libri di mia figlia… e così una mattina mi sono immersa nella cantina, un microcosmo di cartone, polvere, odore di muffa, cacchette di topo e strani insetti, ho spostato frigoriferi, scrivanie, scale, alberi di natale e, finalmente, ho trovato degli scatoloni con su scritto LIBRI. Acqua nel deserto! Terra per il naufrago! Una volta fuori di là, pazientemente mi sono messa ad aprirli, pulire, spolverare ed ordinare tomi su tomi, finché non ho aperto un imballo che conteneva biglietti dell’autobus, vecchie lettere, piccoli tesori e, sul fondo, almeno una dozzina di vecchi libri, della me bambina. E fra questi, i miei tesori massimi! “Le streghe” di Roald Dhal, nell’edizione SalaniGl’Istrici, terza ristampa del 1989 e, soprattutto, l’albo illustrato di cui finalmente, dopo questo faticoso preambolo, mi decido a raccontarvi: “Madama Topina e le case del Bosco” di George Mendoza, con le straordinarie illustrazioni di Doris Susan Smith, Editrice Piccoli, 1985. Un libro che avrò letto con ogni senso centinaia e centinaia di volte, compulsivamente e felicemente. La gioia di quest’ultimo ritrovamento è stata tanta e tale, da dimenticare per un’intera giornata Dostoevskji, Pasolini, Morante, Woolf, Murno, Saramago e Calvino in giardino.

Non mi spiegavo come fosse possibile che un gioiellino come questo bestseller degli anni ottanta non fosse stato più ripubblicato, soprattutto ai giorni nostri, date ormai le tante case editrici di qualità, che portano avanti un lodevole lavoro di riscoperta, consapevoli della mole di tesori nascosti che il passato della letteratura per l’infanzia cela. Non me ne facevo una ragione, tanto da proporre alle mie colleghe, in un eccesso di megalomania, di ripubblicarlo noi stesse attraverso la libreria. Poi, per fortuna, ci ha pensato Terre di Mezzo.
Intitolato originalmente “House by Mouse” (e successivamente “Need a house? Call Ms. Mouse!”), l’albo fu pubblicato nel 1981 dalla casa editrice newyorkese Grosset & Dunlap; arrivò in Italia come “Madama Topina e le case del bosco”, grazie alla Editrice Piccoli, realtà milanese che dai primi anni ‘60 pubblicò molta letteratura per ragazzi, dalla fiaba al romanzo, passando per l’albo. Una esperienza editoriale quella di Editrice Piccoli che, assieme a quella certamente più di rottura di Emme Edizioni, contribuì in modo notevole allo sviluppo del settore in Italia. Attiva sino al 1990, fu poi assorbita dal gruppo editoriale Il Capitello.

Oggi, come già accennato, con il titolo “Diletta topolina architetta. Progetti per case da sogno”, torna in libreria grazie a Terre di Mezzo, una casa editrice che ha nel suo dna la vocazione alla scoperta e alla riscoperta, essendo originariamente specializzata in letteratura odeporica.

Madama Topina, Diletta nella nuova versione, Enrichetta per noi boomers, è una topolina architetta che passa le sue giornate, nottate comprese, fra tavolo da lavoro e cantieri, a immaginare e realizzar progetti per dare una casa a tutti gli amici della foresta. Il suo dono è saper capire di cosa ciascuno abbia bisogno per sentirsi a casa propria. La topolina architetta viene presentata in media res, totalmente presa da ogni fase del suo lavoro, sin dalla copertina, passando per i risguardi e le prime pagine: e poi il libro si apre magicamente sulle sue creazioni, tavola dopo tavola, a partire dalla sua casa, passando per l’abitazione di Mastro Scoiattolo, la dimora di Madama Trota e quella della Signorina Gattina, il rifugio di Comare Talpa e quello di Volpe Rossa, la tana di Coniglio Lesto e di Bruco Goloso;ci sono la caverna di Vecchio Orso, la terrazza di Signora Lucertola, le palafitte di Rana Saltarella e la casa del Signor Ragno; la torre del Professor Gufo, la villa di Porcello Ciccio (che manie di grandezza!) e la baracca di Madama Lontra. L’ultima illustrazione a doppia pagina dell’albo, infine, ci mostra un paesaggio: la nostra topina si regala una bella vacanza in tenda, dopo tanto lavoro, immersa nella natura. E girando l’ultima pagina la ritroviamo curva alla sua scrivania, ma di spalle, nell’immagine speculare a quella dell’incipit della storia, che rivolge una domanda al lettore: “ E tu cosa ne pensi?”.

Beh, io penso che questa delicata storia senza tempo, a suo modo radicalmente ecologica, romanticamente illustrata con dovizia di particolari da Doris Susan Smith (prolifica autrice e disegnatrice attiva dagli anni ‘70, conosciuta in Italia anche per il suo”Le vacanze di Geremia”, lui sì fra i libri dispersi e ancora pianti della mia infanzia), ci aiuta nel comprendere quanto sia bello quando l’intervento umano sa convivere con il paesaggio, l’antropico con l’elemento naturale, come fosse l’uno il prolungamento dell’altro. Non c’è qui consumo di suolo, tutto è armonico pur in un modo creativo e libero. Qui gli animali sono animali, ma forse sono anche una versione possibile dell’uomo e delle sue azioni. L’autore della nostra storia è George Mendoza, che è stato un poeta, scrittore e autore per la tv statunitense. Ha pubblicato un centinaio di libri, collaborando con celebrità dello sport come Muhammad Ali e Ivan Lendl ed artisti del calibro di Eric Carle e Norman Rockwell.

Ed ecco, allora, mi concedo un piccolo salto: penso al celeberrimo triplo autoritratto di Norman Rockwell, star dell’illustrazione statunitense che ha attraversato la storia del novecento. Dipinto con olio su tela, venne pubblicato sul Saturday Evening Post nel 1960. L’artista si ritrae di spalle, nel riflesso dello specchio e nella forma dell’autoritratto che sta realizzando sulla tela. L’opera è concepita come la rappresentazione simbolica di Rockwell come artista. Ciascun dettaglio contribuisce alla narrazione della scena. Nessun elemento è lasciato al caso, ed è scelto con cura per questo scopo, infatti nel dipinto l’artista porta gli occhiali, li si vede nel suo riflesso, ma sono assenti nell’autoritratto che sta componendo, forse a voler intendere che fra ciò che si è e l’opera che si crea vi è una distanza, che l’opera non termina con i limiti del corpo fisico del suo creatore, ma si espande, va verso l’altro, portando valore e bellezza.

Il ritratto di topina, davanti in apertura e di schiena in chiusura, mi fa pensare proprio a quest’opera, ed è bello che la suggestione arrivi, a prescindere dagli intenti dell’artista.

Sarà la nostalgia di un immaginario lontano, familiare, di colori meno esplosi eppure profondi, che schiudono pensieri e ricordi, sono grata per questo ritrovamento.
Madama Topina è tornata in un momento della mia vita molto particolare, in cui, appena abbandonata la mia vecchia casa ed ancora alla ricerca di una nuova, è scoppiata la pandemia di Covid-19: un momento nel quale ho profondamente ragionato sul senso della casa, del vivere, del cambiare. Ma al di là della mia esperienza personale, il lockdown ha chiuso più di mezzo mondo dentro casa, dunque suppongo che molte e molti si siano domandati: cosa è una casa?

Zompettando un’ultima volta, prometto, ancora all’indietro, ma non troppo, a pochi mesi prima della pandemia, nel 2019, è uscita una pellicola strabiliante, vincitrice della Palma d’oro a Cannes, di un Golden Globe e dell’Oscar come miglior film: PARASITE di Bong Joon-ho; critica radicale della società sud-coreana (facilmente accostabile a quelle occidentali) il cui cuore è proprio la casa.

Quante corrispondenze può suggerirci una topina, eh?

Quante cose rappresentano le nostre case emotivamente, socialmente? Sono i nostri rifugi, le persone e le storie che le abitano e le hanno abitate, nella migliore delle ipotesi rispecchiano la nostra immagine, ma spesso sono solo un tetto che poco racconta della dignità degli uomini. E come vengono pensate, costruite, distribuite? A quali fini?

Allora, interroghiamo e facciamo interrogare alle bambine e ai bambini le opere della saggia Diletta, topolina architetta e continuiamo a farci domande, che la strada è lunga e la terra è tonda. Oggi, grazie a Terre di Mezzo, lo si può fare nuovamente.

Maria

Età consigliata dai 4 anni.