Paliamoci chiaro: noi libraie di Ponteponente abbiamo una libreria specializzata per bambinǝ e ragazzǝ, ma siamo decisamente onnivore in fatto di libri.
Giovedì scorso, sveglia dalle sei meno un quarto del mattino, appena trascorsa l’ora di pranzo, mi trovavo nel silenzio della libreria chiusa, circondata da centinaia di libri appena arrivati da stipare sugli scaffali, l’istinto bibliofago che stava per prendere il sopravvento, quando fra le mie mani si materializza un volume verde acqua, dalla copertina rigida, intitolato come uno fra i libri più importanti della mia vita che, caso strano, avevo appena tentato goffamente di raccontare a due classi di un liceo scientifico qualche ora prima: Una stanza tutta per sé. Ma questo libro con una macchina da scrivere disegnata in copertina non è una nuova edizione del noto saggio di Virginia Woolf, bensì una sorta di catalogo degli studi – o dei luoghi deputati alla scrittura – delle grandi scrittrici e dei grandi scrittori. Pecisamente si tratta di “UNA STANZA TUTTA PER SÉ. Dove scrivono i grandi scrittori” di Alex Johnson e James Oses, appena uscito in Italia per L’Ippocampo ed originalmente pubblicato in Gran Bretagna da Frances Lincoln ad aprile, con il titolo “ROOMS OF THEIR OWN. Where Great Writers Write”.
Ora, io non credo ciecamente nella bibliomanzia, ma davanti ad eventi del genere nemmeno si può dire che il caso non esista.
Si tratta di una galleria dei luoghi che hanno visto all’opera il processo creativo dei più grandi autori mai esistiti; curiosando fra le abitudini, i rituali e le manie, scopriamo dettagli importanti sulle loro vite e la loro opera.
C’è chi scrive sdraiato, chi si circonda di fotografie, vecchi talismani, chi beve caffè, mooolto caffè, chi nel caos, chi scrive ovunque, chi in albergo, in macchina, su un’isola e chi ha solo bisogno di una finestra davanti agli occhi. Chi scrive a mano, chi con la macchina da scrivere, chi usa il dittafono e chi il computer. C’è chi ha orari rigidissimi, chi strampalati e chi scrive solo di notte. E poi: quante parole? Quante pagine ogni giorno? Insomma, scopriamo come il demone della scrittura operi attraverso molteplici vie…
Questo catalogo ci lascia entrare nel seminterrato colmo di giocattoli appartenuto a Ray Bradbury, nello studio condiviso delle sorelle Brontë o nella solitudine della stanza di Emily Dickinson, lavoriamo in piedi con Hemingway, siamo fra gli alberi da frutta di Checov, con i gatti di Judith Kerr; e ancora: a passeggiare su una spiaggia giamaicana con Ian Fleming, seduti sulla poltrona di Roald Dahl e alla scrivania portatile di Charles Dickens, annusiamo i papaveri sul tavolo d’olmo di Sylvia Plath e l’inchiostro nero di Kipling, ascoltiamo Bach, Mozart e Beethoven con Umberto Eco e jazz con Murakami, mentre fumiamo Pall Mall senza filtro con Kurt Vonnegut. La foto di Virginia Woolf è lì, sulla scrivania di Vita Sackville-West.
La Bibliotheca Semiologica, Curiosa, Lunatica, Magica & Pneumatica di Umberto Eco, cuore pulsante del suo studio milanese – ben descritta in questo libro – è per me qualcosa che si avvicina molto all’idea di Paradiso. Soddisfa il mio ideale di curiosità e le mie perversioni, perché io sono una bibliomane. Non è amore per i libri il mio, io sono posseduta dai libri. Sommersa, via. Il libro è un’appendice irrinunciabile; i libri che ho accumulato negli anni contengono il mio immaginario, i miei pensieri, le mie credenze, i miei sogni ed ognuno di questi aspetti più che concentrarsi nella mia mente e memoria è frammentato in una miriade di pile di pagine fatte di bianco e di nero, di immagini e colori, elementi creati da altri ai quali mi è necessario ricorrere per recuperare parti di me stessa, come si trattasse di una necessità basica per il mio corpo. Ritrovare arti ed organi fra gli scaffali e la polvere.
Giro sempre con almeno un libro appresso (ho sofferto di biblionomadismo acuto in giovane età, per cui ogni volta che partivo potevo arrivare a portare con me sino a due valige di libri), i libri occupano il mio spazio fisico, sono il primo oggetto che vedo la mattina appena apro gli occhi e l’ultimo la sera quando li chiudo. Letteralmente, la casa dove abito esplode di libri e, ad essere sincera, non so se la bibliomania sia contagiosa, ce la sto mettendo tutta per trasmettere questa lieve psicosi anche a mia figlia.
Ho trovato molte definizioni che danno un nome a questa devianza: le due che amo di più sono la giapponese “tsundoku”, più legata alla questione materiale dell’accumulare pile di libri che non necessariamente saranno destinati ad essere letti, e l’anglosassone “Book Madness”, un modo poetico ed assieme punk per descrivere con fierezza l’insieme dei morbi librari.
La gratitudine che nutro nei confronti dei creatori di mondi è infinita. A dispetto del tempo e dello spazio, vivono con me o possono venirmi a trovare, alimentano il mio amore per la vita, espandono i limiti della mia mente e mi liberano dalla solitudine.
Ma… non siamo qui per vagare e divagare in un’indefinita e forse infinita biblioteca dal sapore borgesiano, quindi torniamo a questo prezioso volume! Curato dallo scrittore, giornalista e blogger Alex Jhonson, decisamente un patito di libri (andatevi a fare un giro qui: https://www.onthebookshelf.co.uk/), oltre a proporre ben cinquanta voci, è arricchito di focus con curiosità, citazioni celebri sulla scrittura ed il mestiere dello scrittore, brevi bibliografie e, soprattutto, illustrato con gli acquarelli essenziali di James Oses, capaci di restituire sensazioni e dettagli senza risultare didascalici.
Roald Dahl descrive il suo studio come una dimensione decentrata, un luogo per sognare e perdersi, silenzioso, buio e accogliente come un grembo materno… Eh, sì, proprio così! In fondo lo studio non è altro che quello spazio, fisico o metaforico che sia, sacro, inviolato, che ciascuno di noi dovrebbe poter avere per prendersi cura della parte di sé legata all’immaginazione, alla creazione, alla sperimentazione. Quella parte che ha bisogno di essere coltivata con lo studio, il silenzio, l’attenzione, il tempo sospeso. Una dimensione che spesso è messa a dura prova dalle circostanze in cui molte e molti nascono e crescono, ma anche dalla smemoratezza del quotidiano, dalla stereotipia dei ruoli, dalla spietatezza dell’era dell’accesso. Eppure, nonostante gli ostacoli, costruirla la propria stanza, scavarla nella pietra, sospenderla fra le nuvole e riempirla di una materia capace di andare oltre l’apparenza. Zadie Smith tiene a portata d’occhio una citazione del filosofo Jaques Derrida, assai congrua con il filo che tende questo bellissimo libro:” Se non si mantiene il diritto al segreto, si entra in uno spazio totalitario”.
Onorare la meraviglia della vita non significa essere tutti artisti, geni, scrittori, ma annaffiare gli aspetti più sottili e profondi di noi, in grado di generare pensieri migliori e costruire parole più belle, questo sì.
Un libro per ragazzi ed adulti curiosi, perfetto per ri-mettere a fuoco.
Maria